Le pestilenze del nuovo millennio

Con l’entrata nel XXI secolo hanno cominciato ciclicamente a proporsi ondate di allarmismo per il diffondersi epidemico di malattie che avrebbero clamorosamente ridotto il totale della popolazione mondiale.ebola_suit

Frutto della globalizzazione, che permette rapidi spostamenti e riduce le distanze tra le varie parti del mondo, per cui ormai ci riguarda direttamente quello che succede anche molto lontano da noi, e della crescente influenza e diversificazione dei media, sono nate e si sono diffuse psicosi che come tormentoni occupavano ed occupano gran parte dello spazio informativo per poi sparire nel dimenticatoio una volta “commercialmente” bruciate.

Tutto è cominciato nel 2003 con la SARS,  influenza potenziata che si trasmetteva attraverso le vie aeree e poteva portare facilmente alla morte: per alcuni mesi i giornali trasmettevano il bollettino di guerra della inarrestabile avanzata del fronte del contagio, e chiamavano la popolazione alla battaglia fatta di mascherine, continua pulizia delle mani, evitamento dei luoghi chiusi affollati e del contatto diretto con le persone.

Nel 2005 fu il turno dell’influenza aviaria, recrudescenza della SARS che si diffondeva tra i volatili, passava da questi all’uomo ma fortunatamente non sviluppò un ceppo in grado di trasmettersi da uomo a uomo. Questa volta la psicosi aveva trasformato la società occidentale  in un enorme set de “Gli Uccelli” di Hitchcock: si scappava dai piccioni come da serpenti velenosi, si cominciava a tremare quando si sentivano dei suoni provenire dagli alberi, dai tralicci, dai portici, e si evitava la carne di pollo come se fosse cianuro.

Con il 2009 fu il turno dell’influenza suina, sviluppatasi in Messico e penetrata negli Stati Uniti, si sovrappose in Europa all’influenza stagionale. Nei luoghi pubblici si diffusero cartelli con le istruzioni per evitare il contagio e si pregavano le persone che presentavano i sintomi anche di un semplice raffreddore di starsene a casa per il bene della collettività. Si trovò anche l’antidoto con un vaccino sviluppato in tutta fretta, che venne a sua volta presentato come molto pericoloso; il singolo fu posto davanti ad una scelta che si configurava come una partita alla roulette russa: rischiare di ammalarsi di un morbo mortale o prevenirlo con un farmaco dalle conseguenze imprevedibili.

L’episodio più ridicolo, nel 2011,  coinvolse invece un batterio, quello dell’Escherichia coli, ed un improbabile veicolo di trasmissione, il cetriolo. Nonostante tutti i tentativi di creare un allarme smodato per l’ortaggio killer, il suo scarso successo alimentare non creò una apprensione che andasse oltre il chiedere di togliere la fettina verde dall’hamburger nei fast food, cosa che accadeva già prima per la sua caratteristica sgradevolezza. D’altronde il focolaio fu in Germania, e si sa che i tedeschi non hanno un grande talento per la fiction di genere, tanto che nemmeno Soderbergh è riuscito a fare un film su questa piaga.

Veniamo ai giorni nostri e all’allarme Ebola.  La questione è sicuramente seria, si parla della peggiore epidemia negli ultimi 40 anni… appunto, “degli ultimi 40 anni”. La malattia esisteva anche prima e mieteva vittime, ma la paura generalizzata è oggi resa possibile dalla creazione del villaggio globale. Lo sviluppo del morbo (febbre emorragica con perdite di sangue) è sufficientemente truculento per fare colpo, il luogo di origine, l’Africa, si presta ad uno scenario di assedio stile zombie con attacchi via aria (i collegamenti aerei) e via mare (gli sbarchi) alla “fortezza” Occidente. La proclamazione  da parte dell’OMS dello stato di emergenza internazionale non invoglia all’ottimismo, ma un discreto carico lo mette l’insistenza dei mezzi di comunicazione sui termini emergenza,  contagio,  propagazione, epidemia; la spiegazione pacata e razionale di quel che sta succedendo e delle possibili conseguenze a livello mondiale è o esclusa, o accennata, o relegata ai trafiletti. Il panico non si è ancora diffuso e non ha dato chiari segni di manifestazione che non vadano oltre il trito fatalismo e la rassegnazione crepuscolare. Sicuramente è cominciata la caccia all’untore: in Sicilia i poliziotti si fingono malati per non prestare servizio di accoglienza ai migranti provenienti dalle coste africane a causa della paura del contagio; in molti criticano i volontari che non lasciano le popolazioni in emergenza al proprio destino ed anzi, aiutandole, portano il virus all’interno della fortezza. Donald Trump ad esempio ha scritto questo tweet :

Coloro che si recano nelle zone remote del mondo per aiutare il prossimo sono meravigliosi, ma devono subirne le conseguenze!

riferendosi al rimpatrio,per ricevere le cure, dei volontari americani Brantly (medico) e Writebol (missionaria).

Non resta che rimanere in attesa degli sviluppi, sperare che da un punto di vista eurocentrico si risolva tutto nella solita bolla di sapone, e che non si degeneri in episodi di isteria incontrollata e pericolosi sotto l’aspetto del razzismo, conseguenza del luogo di provenienza degli eventuali vettori di contagio.

 

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