la battaglia tra l'uomo ed il proprio fisico

Che il corpo umano sia una macchina imperfetta, piena di errori, obsoleta e degna di scomparire dalla faccia della terra è una realtà nota e ormai universalmente accettata.

Sono rari i momenti in cui operi decentemente, sia cioè in grado di produrre una performance fisica o intellettuale di buon livello senza provocare affaticamento, stanchezza, noia, imprecazioni, sensazione di aver realizzato un’impresa irripetibile.

Già nel proprio funzionamento, in sé, la fisiologia umana è soggetta ad errori, miseri fallimenti, malattie metaboliche inutili. Chiari segni che l’agglomerato umano si ostina ad ignorare permanendo in un parossistico attaccamento alla vita, condito dall’illusione autoindotta che sia irripetibile e meravigliosa. Tuttora mancano basi plausibili per questa affermazione, ma si sa che le credenze e le superstizioni sono dure a morire.

Se passiamo al livello più complesso delle interazioni con l’ambiente circostante il disastro è completo e totale. Mantenere in salute il proprio fisico è un’impresa disperata, oggettivamente impossibile. Ogni azione, ogni contatto con altri oggetti o organismi, ogni assunzione all’interno del proprio fisico di sostanze esogene è deleterio e dannoso. Bisognerebbe rimanere fermi il più possibile, totalmente immobili; ma si da il caso che anche questo faccia male.

La tragedia della condizione umana è esplicitata in termini ancora più lampanti ed autoevidenti nel momento in cui ci coglie un’illuminazione banale ma assai rivelatrice: più una cosa è piacevole ed appagante, peggiore è il suo impatto sulla nostra salute.

Il paradosso è esplicito: brevi momenti di gioia e felicità vengono pagati a caro prezzo in termini di salute e benessere sul breve e lungo periodo; mentre per mantenere una condizione omeostatica quasi decente, occorre soffrire in termini di noia, esercizio fisico, rinunce ascetiche ai pochissimi piaceri di una miserabile vita. Per riassumere il concetto in una frase:

Per non soffrire bisogna soffrire.

È un loop logico, non se ne può uscire, solo maledire ripetutamente ed in modo sclerotizzante la propria condizione.

Uno degli esempi più semplici ma più chiari di questo dramma che permea l’esistenza dell’uomo sulla terra è il cibo ed il rapporto con esso: una maledizione del demonio.

L’alimentazione ha un impatto devastante sul funzionamento del nostro corpo. Mangiare sano è la migliore medicina, mantiene in salute, migliora le performance, previene le malattie e gli scompensi metabolici che l’invecchiamento si porta dietro. Fantastico, ma mangiare sano fa schifo. Non c’è sapore, non c’è gioia, l’aspetto dei piatti è deprimente.

Il cibo è una delle poche gioie di questa tediosa esistenza, ma se è buono fa male. È una gratificazione, un premio che ci si concede, ma che premio è un petto di pollo scondito, un’insalata, un qualcosa di opaco cotto nel vapore? La malinconia passa dall’alimento all’anima, il grigiore permea la giornata del tristo salutista.

Una pantagruelica tavolata di cibi ricchi, gonfi di uova, affogati nell’unto, cosparsi di salse, fritti, colorati, gioiosi; colmi di zucchero, rivestiti di cioccolato e di croccanti biscotti al burro. Tutto questo è devastante, un’estasi di pochi minuti, se va bene di un’ora, ha effetti micidiali sui giorni, i mesi, gli anni successivi.

Se si mangia tanto in un pasto la pesantezza accompagna le ore successive: è impossibile ragionare e lavorare con un minimo di lucidità perché travolti dal Tir del sonno postprandiale; ogni attività fisica diventa uno sforzo titanico accompagnato da fiatone, pesantezza, rigurgiti di un cibo che al secondo e terzo passaggio nel cavo orale non è mai piacevole come la prima volta. Se è la cena ad essere abbondante a venire disturbato è il sonno, a detrimento di tutta la giornata successiva.

Inoltre ogni cosa buona è un’arma di distruzione di massa: grano, zucchero, latte, pizza cotta nel petrolio, prodotti della combustione delle grigliate, l’olio di frittura, sono alimenti addirittura cancerogeni che consumati sul lungo periodo sballano i valori del sangue e come tarli corrodono in uno stillicidio continuo e inarrestabile gli organi interni.

Più una cosa piace e più è pericolosa. Numerose sono le insidie, sotto forma di batteri ed agenti patogeni, che si nascondono nelle uova, nella carne cotta male, nel pesce crudo. Per non parlare delle allergie e delle intolleranze: quale dio può ricoprire chi mangia una cosa di suo gradimento di pustole, deformarlo per il gonfiore, obbligarlo a trascorrere un cordiale dopocena al bagno o peggio ancora al pronto soccorso?

Visto che l’uomo non sa rinunciare a sé stesso ma persevera nella sua alogica ed irrazionale conservazione e propagazione di specie, nascono da tale situazione delle derive che esprimono a pieno la decadenza della contemporaneità. Non so descrivere in altro modo stili di vita che ad uno sguardo alieno risultano incomprensibili e ridicoli: sostituti vegetali della carne e del latte, rinuncia alle carni rosse, diete sane e bilanciate prive di dolci, fino a degenerazioni religiose come il veganismo.

Un hardware ben progettato consentirebbe di soddisfare il proprio piacere in modo incessante e senza ripercussioni; uno delicatissimo, che richiede un’attenta manutenzione, che tiranneggia la volontà del suo proprietario obbligandolo a rinunce e all’incertezza delle reazioni nel proprio impatto con ciò che vi viene introdotto, è una palese truffa che va corretta al più presto.

Bisogna rompere le catene e ribellarsi a questa schiavitù. Intraprendere una battaglia contro il proprio corpo che può e deve terminare solamente con l’annientamento totale di uno dei due contendenti. Per questi motivi ho deciso di cambiare la mia vita ed assumere sulle mie spalle il peso dell’ingrato ruolo di avanguardia. Mangerò quello che voglio quando voglio, senza alcuna pietà per il mio fisico. Vedremo chi avrà la meglio, sicuramente l’odio tra di noi non è mai stato a livelli così alti. Indietro non si può tornare.