corsa agonia

Ho sempre ritenuto la corsa fine a se stessa come un abominio contro natura. L’uomo non è fatto per correre, compie un movimento non naturale, che richiede adattamenti, fatica, dolori, sofferenza senza divertimento.

Mi hanno proposto varie volte di andare a correre, ma ho sempre rifiutato sdegnato e sprezzante, anzi deridevo chi lo faceva. Fatica inutile quando puoi usare la bicicletta, una noia mortale, mancanza di fiato per chiacchierare, gente sgraziata per strada e ingobbita dal travaglio.

Inoltre l’immagine fornita in TV dalle gare podistiche non è vincente: atleti magri magri, rinsecchiti e privi di muscoli, col volto scavato ed emaciato. Io non volevo essere così, io volevo essere Cristiano Ronaldo.

Poi le sfortune della vita ti portano a fare cose che non avresti mai voluto intraprendere. Mi hanno obbligato a correre nel corso di una riabilitazione post operatoria al ginocchio. Per convincermi mi hanno detto: è ottimo per stimolare la propriocettività delle articolazioni rimaste ferme, mette in moto ed allena pressoché tutti i muscoli del corpo, inoltre c’è un grande consumo calorico e può aiutarti a dimagrire, visto che sei mostruosamente sovrappeso, e vergognati.

Ho provato.

La partenza è traumatica, il corpo ti aggredisce urlandoti in faccia: “cosa stai facendo? Ti sembra il caso? Non potevi stare seduto sul divano a leggere il giornale e a cazzeggiare su Facebook come tutte le mattine? Va bè, ormai hai fatto la cazzata, beccati il male alle gambe e alle ginocchia”.

Dopo 10 minuti ci si rende conto che il trauma non è stato un episodio acuto, ma si cronicizzerà per tutta la durata dell’esercizio trasformandolo in un’agonia. Si ribellano i polmoni, che ti fanno respirare come durante una crisi d’asma, si irrigidisce ogni muscolo del corpo, sopratutto la schiena, consentendoti di correre con lo stile di Quasimodo, ti fanno male anche le braccia, e non capisci il perché, ma lo accetti, ti hanno detto di farlo. E io non vorrei mai deludere i fisioterapisti, voglio sempre stare simpatico a tutti.

Dopo 20 minuti si entra in profonde meditazioni del tipo: “che sport di merda, è proprio da coglioni. Questa è l’ultima volta che lo faccio, giuro. Ma come si fa a perdere del tempo così, nel tempo che ho corso se fossi stato a casa a studiare mi sarei già laureato. Ho buttato la giornata… Sono disidratato, ho fame, fra un po’ svengo, non ho nemmeno il cellulare, speriamo che qualcuno si accorga di me e mi porti a casa… No, adesso mi fermo e torno indietro, a casa, camminando… E il fisioterapista? No dai, vado avanti un altro po’ e se il cuore continua a farmi male e a battere in modo sincopato mi fermo e cammino… Facciamo che provo a finire questa quest per bene e poi non corro mai più”.

Al 25simo minuto cominciano le allucinazioni, anche perché correre a mezzogiorno ad Agosto non è stata una saggia scelta; non del tutto, c’è il pro di una fantastica abbronzatura da ciclista su viso, collo e avambracci.  Il sole brucia come all’equatore, anche se ci sono 27 gradi, e ti parla. Ha un ghigno maligno, ti offende come un sergente Hartman e tu speri soltanto che una nuvola lo sopprima. L’asfalto si tinge di rosso, vedi tutto a macchie, ti sembra che le persone al tuo passaggio ti deridano ma provino anche un pizzico di pietà. Parli con te stesso in modo sconnesso, rivivi la tua vita istante per istante, ma ad un certo punto ti rendi conto che è quella di un altro, forse un’esistenza precedente? La presenza di draghi e fate fa propendere per il si.

Ormai sei una maschera di sudore, che ti entra negli occhi, te li fa bruciare. Provi ad asciugarteli con la maglia, ma anche quella è piena di sudore, attaccata al corpo come con lo scotch, e anche i pantaloncini sono in condizioni pietose: sembri reduce da un tuffo in piscina vestito.

Alla mezzora il miracolo, il paradiso promesso da tutti i runner con cui ti sei consultato: arriva la botta di endorfina. Corri ormai come Igor di Frankenstein Jr, sei l’immagine della sofferenza e della pietà, potrebbero usarti in un documentario che parla dei mali del mondo; ma non te ne importa nulla. Il tuo corpo è altro da te, il dolore è esterno, lo percepisci soltanto in una sorta di empatia, ma tu stai bene e sei in pace con te stesso. La luce è tenue, ti accarezza dolcemente, la natura fiorisce, il tuo orribile paesino assume le sembianze di un eden; col senno di poi puoi dire di aver vissuto una Near Death Experience.

In queste condizioni arrivi finalmente in un luogo che dopo alcuni secondi riconosci come casa tua, fai fatica a fermarti e a tornare al passo di camminata perché ormai le gambe vanno per conto loro, tiri il fiato e ti accorgi che in realtà non c’è più.

È il momento dello stretching, e nelle condizioni in cui sei ti senti uno yogi in cima all’Himalaya; purtroppo non apprendi nessuna verità superiore, ma ti arriva addosso tutta la stanchezza. Fai la doccia, ti fai schifo per quanto sei sudato mentre ti spogli, e sei pronto per continuare la giornata alla grande.

Bilancio: la giornata è finita perché sei troppo stanco per fare qualsiasi attività fisica o intellettuale; ti fanno un male cane le ginocchia, tanto che sedersi ed alzarsi è un’impresa, e finalmente capisci cosa provava tua nonna con artriti ed artrosi. I muscoli delle gambe sono dilaniati, come se te li avesse presi a morsi una muta di cani ( e forse è successo durante la corsa, ma non puoi ricordartelo, eri già nel mondo dei funghi). Non hai voglia di fare nulla, solo di bere e di agonizzare sdraiato su una qualsiasi superficie priva di chiodi.

Ma quando recuperi quella minima lucidità che ti permette di fare due calcoli, scopri che hai consumato quasi 900 calorie, e che la sera a cena puoi sfondarti di cibo senza farti ribrezzo; se addirittura sei in compagnia puoi bullarti e rinfacciarlo agli altri: “io oggi ho corso 10 km, posso mangiare quello che mi pare, cazzo me ne frega, al massimo domani torno a correre”.

Ed in effetti ci io ci sono tornato. L’autolesionismo non conosce confini.