Il rapporto tra Scalfari e la Chiesa cattolica

Sono un lettore di Repubblica. Un po’ me ne vergogno. Sono consapevole del fatto che sia politicamente schierato; che nella sezione delle notizie estere segua il sensazionalismo mediatico e non curi la completezza del quadro (caso più recente, la protesta ad Hong Kong, scomparsa nel nulla dopo le paginate dei primi giorni); che le pagine di Cultura siano carenti, dettate da innamoramenti, mainstream, e pressioni editoriali; che le recensioni del film non siano affidate a critici professionisti ma a giornalisti reinventati.

Ma non ho trovato di meglio, e un quotidiano lo devo pur leggere.

In questi ultimi giorni c’è una cosa che mi da particolarmente fastidio, e che sto cercando di spiegare a me stesso: l’eccessiva attenzione data dal giornale al Sinodo sulla famiglia.

La Repubblica nasce come giornale legato alla sinistra, e nella sua storia editoriale ha proseguito su questo tracciato, tanto che negli ultimi anni sono state famose le sue battaglie contro Berlusconi (condizionate anche dalla guerra personale contro lo stesso soggetto dell’ editore De Benedetti) e di riflesso contro la CEI, in quel periodo guidata dall’ultraconservatore Ruini, che lo appoggiava cercando di manovrarlo come estremo baluardo a difesa dei valori tradizionali. Inoltre è considerato il giornale ufficioso del Pd, viste le pagine che dedica al partito ogni giorno, anche se in questo momento in opposizione a Renzi, perché inviso al padre/padrone Scalfari, che detta l’umore all’intera redazione.

Negli ultimi tempi, sempre ad opera di Scalfari, si nota una misteriosa apertura al mondo cattolico, un dialogo che si vuole di incontro tra laicità e Chiesa per giungere a valori comuni ed universali.

Comincia tutto con le interviste, gli scambi epistolari, l’amicizia, tra Scalfari ed il Cardinale Martini; alle firme di Repubblica viene aggiunto Vito Mancuso, teologo “liberale” che non accetta e mette in discussione alcuni dogmi tradizionali, con il ruolo di maître à penser di questa primavera religiosa nella quale si è imbarcata la testata; le messe cantate domenicali (gli editoriali di una pagina scritti da Scalfari ogni domenica) trattano sempre più spesso del suo rapporto con la fede, con la figura di Gesù, con i valori ed i dogmi della Chiesa. Ultimamente l’innamoramento nei confronti di Papa Francesco: l’agiografia quotidiana che lo descrive sul giornale come una figura rivoluzionaria, infallibile, eroe positivo al di là dei confini del reale, che con sforzo titanico ribalta dall’interno una Chiesa incancrenita.

Per ora ho formulato tre ipotesi che possano spiegare questa crisi mistica:

  1. Scalfari è vecchio e sente avvicinarsi la morte. In modo umanamente comprensibile sta stendendo un bilancio della propria vita e cerca di riconciliarsi con una realtà che ha combattuto ed avversato in precedenza. Nella religione ci sono molti elementi consolatori e di conforto, utili in momenti come questi, e il modo in cui il cardinal Martini ha affrontato la propria fine può essere d’esempio anche per chi si definisce laico. Trovare rifugio in una Chiesa riformata e maggiormente aperta alla modernità nel momento della dipartita è tollerabile, ma a livello personale; non c’è motivo di ammorbare l’intero giornale.
  2. Nel momento in cui la parte tradizionale e conservatrice  del mondo cattolico ha perso potere all’interno della Chiesa con l’uscita di scena di Ruini e di Bagnasco, e rappresentanza all’infuori di essa con il crollo elettorale e di credibilità di Berlusconi e del suo partito, si cerca di portare l’elettorato cattolico all’interno dell’alveo elettorale del Pd. Esaltare il portato di riformismo sociale, di solidarietà verso la parte debole della società, di accettazione delle trasformazioni dovute alla contemporaneità, può creare una sinergia tra potere religioso e centro-sinistra ed indirizzare le indicazioni di voto dell’apparato ecclesiastico verso lo schieramento politico di cui Repubblica è manifestazione non ufficiale.
  3. Il crollo delle ideologie Otto-novecentesche combinato al momento di difficoltà attuale, dovuto alla crisi economica, impongono di trovare nuove certezze cui aggrapparsi per evitare uno sfaldamento sociale della comunità civile. Con questo obiettivo Scalfari sta cercando di costruire un nuovo rifugio, riplasmando la religione cattolica per renderla più moderna ed accettabile alla maggioranza degli individui.

Qualunque sia il motivo reale tutto ciò si concretizza in una morbosa attenzione quotidiana sull’elaborazione della liceità della comunione ai divorziati.

Non nego che l’argomento possa essere interessante ed abbia una sua notevole portata storica e filosofica. Ma appunto dovrebbe essere affrontato solo dagli specialisti, nei loro ambiti di ricerca: storici della Chiesa, teologi, filosofi, storici della cultura, forse sociologi.

Certamente non è necessario piazzare ogni giorno un articolo, che occupa un quarto della prima pagina, sull’evoluzione del dibattito interno al Sinodo riguardo all’ammissibilità di chi si è risposato al sacramento dell’eucarestia. Per l’impatto che può avere sulla quotidianità di una nazione dove  il divorzio e le seconde (e terze) nozze sono metabolizzate ormai da tempo, dove non c’è mai la fila sui sagrati per entrare a messa, e dove la comunione spesso non è fatta nemmeno da chi alle funzioni ci va, meriterebbe una notizia a conclusione del Sinodo e un editoriale nella pagina dei commenti.

Altrimenti diamo pari peso al congresso dei cuochi per stabilire se nella carbonara l’uovo vada intero o si debba utilizzarne solo il tuorlo.